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Annalisa Pinter Alcune riflessioni sull’interculturalità in classe
Abbiamo il piacere di venire a conoscenza di un’esperienza di insegnamento della matematica creativo e fuori dagli schemi. Si tratta di una classe che parte svantaggiata per l’eccessivo numero di bambini stranieri che le vengono assegnati, per cui sembrerebbe che le condizioni oggettive non possano che portare verso una situazione critica e difficilmente superabile. Le insegnanti di Lettere e di Matematica scelgono di non aprire polemiche sulla formazione della classe (ve n’è un’altra parallela senza presenze straniere) per non far sentire tensione ai bambini ed alle famiglie, e cercano di rendersi conto se possano esistere delle modalità di approccio a questa classe complessa che superi lo svantaggio iniziale, ed anzi porti verso il rovesciamento della situazione. La prima questione importante che emerge è la collaborazione tra docenti di discipline diverse, che mettono in campo le loro competenze senza cercare di affermare il primato di un indirizzo di discipline, ma anzi considerando che gli intrecci tra di esse –umanistiche e scientifiche- possano essere assai produttivi. In generale è ben difficile che si possano ottenere dei buoni risultati a scuola se si lavora in modo isolato, in quanto per i bambini l’esperienza fatta con un solo insegnante, anche se ottima, verrà sommersa dalla interferenza massiccia con tutte le restanti materie dove gli insegnanti operino con uno stile difforme. Un effetto alone negativo derivante dall’influsso di modelli d’insegnamento irrigiditi non consentirà sufficienti effetti benefici di un approccio di migliore qualità, ma isolato. Per dare significatività ad un’esperienza, è assai meglio che vi sia un progetto condiviso da più insegnanti, che sia vissuto dai bambini come un modello coerente trasversale. Così essi percepiscono la sensatezza di un modo specifico di procedere, il quale acquista ai loro occhi una valenza generale, diviene un approccio al mondo della scuola, allo studio, alla cultura. L’esperienza anglosassone del team teaching ci chiarisce che la cooperazione tra insegnanti può essere un elemento qualificante della scuola, mentre purtroppo spesso nelle nostre esperienze scolastiche la costruzione di percorsi affiancati ed intrecciati tra è lasciata alla volontà individuale. La chiave di volta di questa esperienza a Bondeno è stata mettere in primo piano i bisogni di tutti i bambini, di quelli con maggiori difficoltà, come di quelli che partivano da buoni presupposti ed avevano a priori maggiori probabilità di buon rendimento. Le particolarità di ciascuno sono state ritenute degne di attenzione, per cui se si è pensato a percorsi di arricchimento per chi aveva maggiori difficoltà; al contempo si sono stimolati verso obiettivi più complessi quei bambini che fossero in grado di affrontare comunque sforzi maggiori. Sono stati rispettati i diversi livelli, senza far pesare agli studenti meno preparati che vi fossero velocità distinte.. Tutti i bambini sono comunque stati invitati a collaborazione lavorando insieme. Il modello del cooperative learning, che richiede attenzione reciproca tra compagni, in vista di obiettivi comuni, se guidato dagli insegnanti con la debita cura alle relazioni reciproche tra allievi, porta ad una crescita comune ed individuale soddisfacente, superiore ai risultati abituali di percorsi volti al rafforzamento dei singoli soggetti. Del resto esperienze precedenti negli Stati Uniti come in molti altri paesi di programmi di arricchimento destinati a fasce di soggetti più deboli, avevano dato risultati deludenti, al punto da farli recedere completamente (Hertz-Lazarowitz). Non si è trattato nel caso della scuola di Bondeno di un’applicazione del mutuo insegnamento, usato in Gran Bretagna da Lancaster e Bell che lo aveva importato dall’India, e tanto amato da don Milani, con le sue applicazioni originali. Mentre il mutuo insegnamento infatti è un metodo in cui i più bravi si fanno insegnanti degli altri, nel cooperative learning vi è una crescita di tutti i membri del piccolo gruppo, sia pure con rendimenti individuali. Secondo il punto di vista delle insegnanti coinvolte, un elemento comune a tutte le discipline è il fatto che si avvalgano di linguaggi, i quali ne sono effettivamente contemporaneamente elemento portante, tramite comunicativo e parte formativa. Dunque, estrapolazione delle caratteristiche dei linguaggi disciplinari, di quelli invece che possono essere struttura comune delle materie più diverse, approfondimento dei loro significati e dei contesti d’uso, analisi degli aspetti formali e contenutistici. Vi è stata una stimolazione, inoltre, dell’uso dei diversi linguaggi per lo sviluppo della logica formale, imprescindibile per un ampliamento dei percorsi cognitivi. La scuola è per eccellenza il luogo deputato agli apprendimenti, ma questi assumono pregnanza solo se sono il tramite per un ampliamento delle conoscenze e costruiscono gradini per l’acquisizione di saperi. A ciò si aggiunge l’uso corretto della lingua italiana, come veicolo comunicativo e base comune di tutto il gruppo classe per relazionarsi e per scambiarsi messaggi, informazioni, emozioni. Sull’italiano tutti gli allievi sono stati chiamati ad uno sforzo di miglioramento ed approfondimento personale.. In una scuola in cui il fare si coniuga con il pensare ed ambedue portano ad imparare, si riescono talora a far emergere le competenze che ciascuno porta con sé insieme alle proprie esperienze precedenti. L’idea di base che un bambino proveniente da un paese straniero sia deprivato culturalmente perché non conosce bene l’italiano o non ha studiato determinate discipline con i contenuti o con i criteri che si hanno qui, decade alla prova di altri tipi di competenze di cui sono in possesso. In effetti ogni bambino parla già una lingua, ha già una costruzione logica del pensiero, ha competenze relazionali adeguate al proprio ambiente di provenienza, sa giocare, manipolare, risolvere, riflettere, progettare. Interessante è che tutto questo si svolga all’interno di un contesto che all’inizio è multiculturale, ovvero è composto da allievi di origine diverse, che hanno un retroterra culturale e di studi molto divaricati. L’idea di base è invece di tentare di arrivare a creare un contesto interculturale, ovvero di interrelazione proficua tra le persone di differente origine culturale. Si cerca di passare dalla giustapposizione di individui con basi e formazioni lontane reciprocamente, alla composizione di relazioni integrate, così che ci sia un reciproco riconoscersi nelle caratteristiche specifiche di ciascuno, permeato dall’accettazione e dal rispetto delle particolarità, in modo da giungere ad un’amalgama significativa, senza raggiungere un’omogeneità appiattente. Del resto, in qualsiasi classe è improprio considerare che possa esistere un’omogeneità, in quanto ciascuno ha le proprie particolarità, le proprie esigenze, le proprie aspirazioni. Considerare la classe come una sorta di unicum compatto può comportare molti rischi di fraintendimento delle necessità reali dei singoli allievi, con la conseguenza dell’elaborazione di una didattica limitata alle esigenze standard della media della classe medesima. La linea di tendenza maggiormente seguita nelle scuole italiane, almeno sul piano teorico, è quella del tentativo d’integrazione, ovvero del non cercare di prevaricare le specificità altrui e di creare dei percorsi di convivenza soddisfacenti per tutti. Diverso è il modello francese, che invece è esplicitamente assimilazionista, in quanto tende a far assumere ai bambini di origine straniera modalità comportamentali, atteggiamenti, tratti culturali specifici del mondo francese. I bambini sono tanto meglio accolti quanto più il loro modo di essere ricalca quello della maggioranza dei loro compagni francesi. Del resto, l’acquisizione della cittadinanza francese da parte di persone nate all’estero (peraltro assai più semplice che prendere la cittadinanza italiana nel nostro paese) viene significativamente denominata “naturalizzazione”, con un termine molto suggestivo di contenuti. Cercare di migliorare la situazione all’interno di un gruppo come quello della prima media che le insegnanti in questione hanno accolto significa cercare di ampliare i modelli comunicativi e relazionali interpersonali, in modo da rendere gradevoli i rapporti tra i bambini. Si tratta anche e soprattutto, di far sì che diversi modelli di approccio al mondo, diverse esperienze pregresse, vengano a comporre con una trama interconnessa un tessuto variegato ma coordinato. Si tratta di cogliere almeno in parte alcune caratteristiche culturali, per fornire agli altri la possibilità di fruirne. E’ un processo non semplice, che porta però con sé un arricchimento comune. Le matrici culturali dei bambini che si possono trovare all’interno di una classe oggi in Italia sono in parecchi casi molto sofisticate, e possono spingere gli stessi adulti a riflettere su questioni decisamente complesse. Esse forniscono spunti per fare delle attività che tengano conto di diverse concezioni del mondo. Dove può portare, ben guidata, per esempio, una concezione del tempo a spirale, come hanno le popolazioni di origine andina, per cui il passato non è dietro ai soggetti, bensì sempre davanti? Quale concezione della storia comporta, e quali risvolti di rispetto per chi è più anziano, per ciò che è già passato, può portare l’idea che il passato non è eliminato alle nostre spalle, ma ha una pregnanza in un presente ed in un futuro che ci sta di fronte? Dove ci può accompagnare l’immagine diffusa in grande parte dell’oriente, di una compenetrazione tra corpo e spirito? Quale apporto può derivare dall’attenzione al calcolo tanto presente nel mondo cinese, o l’amore artistico verso la calligrafia della cultura araba, o l’approfondimento degli studi matematici cui sono abituati i bambini somali? (vedi A. Pinter e A. Gramigna (a c. di); D. Costantino) Quando ci si trova come insegnanti in una classe complicata, con una percentuale alta di bambini stranieri di recente immigrazione, spesso si ha la sensazione che il tempo a disposizione dei bambini in difficoltà non sia sufficiente, che si debba cercare di fare il più possibile. Questo ingenera negli insegnanti, e conseguentemente nei bambini, un’ansia da prestazione. Si vuole fare molto, si vuole fare in fretta. Invece solitamente è meglio prendersi un periodo iniziale per analizzare la situazione, rendersi conto delle esigenze dei singoli. Si pensa di avere un programma da seguire, di dover stare alla pari con le aspettative che possono esservi tra i genitori più esigenti o da parte di altri colleghi., e invece andare con calma all’inizio può essere estremamente proficuo per stabilire l’equilibrio giusto. E’ meglio fare un progetto di piccoli passi, in cui gli obiettivi iniziali siano indirizzati alla costruzione di un terreno comune, fondato sia su conoscenze di base diffuse, sia sulla elaborazione di relazioni serene, soddisfacenti e costruttive tra gli allievi. E’ opportuno lavorare sullo sviluppo cognitivo, per mettere a punto i prerequisiti necessari all’apprendimento dei contenuti che preme poter raggiungere nell’arco dei tre anni (A. Pinter; G. Favaro). Dedicarsi subito all’acquisizione di nozioni, all’aumento delle conoscenze disciplinari, ad esercizi di problem solving specifici delle varie materie, rischia di portare alcuni bambini che non abbiano ancora spianato il terreno di fondo, a prestazioni deludenti, proprio nel momento iniziale dell’inserimento in una nuova scuola, in cui ci sono aspettative positive ed ansie. Le insegnanti della classe che ha collaborato a Matematicainsieme hanno pensato che per il primo anno si dovesse fare una sorta di sospensione del programma, lavorando sulle strutture di base, in modo da rendere più agevole il cammino nei due anni successivi. Questo modo anticonformista di procedere consente una libertà di scelta dei contenuti e delle modalità, funzionalizzati alle esigenze specifiche. Di fronte ad una situazione complessa, è meglio avere un atteggiamento flessibile, essere pronti ad operazioni di feed back, rivedendo talora le proprie scelte, riprogettando sulla base dei cambiamenti intervenuti nel gruppo. Attività apparentemente non accademiche possono comportare un progetto di istruzione formalizzabile, che insieme al divertimento dei bambini, alla messa a punto della loro creatività, all’attivismo (J. Dewey), li metta nelle condizioni di fare delle scelte operative in relazione alle loro competenze (L. Borghi). E’ questo il caso di un lavoro che si è fatto nella classe, il Giornalino. Non si tratta certo di un’attività di innovazione (già da decenni M. Lodi aveva iniziato questo tipo di lavoro con i suoi alunni), ma non per questo di poco valore. Anzi, molte competenze si concentrano intorno ad un’attività di questo genere, che implica immaginazione, progettazione, creatività, precisione, competenze tecniche, conoscenze linguistiche, abilità manuali, scelta dei materiali, collaborazione, capacità di scelta. E’ un’attività che va nella direzione di quella scuola attiva dei laboratori auspicata da De Bartolomeis e mai veramente realizzata fino in fondo in Italia. Far lavorare i bambini intorno ad un progetto così complesso e di tanta soddisfazione, quando si possa vedere un risultato concreto, che oltretutto risulta essere un tramite comunicativo con l’esterno, aiuta a puntualizzare tra gli stessi studenti le caratteristiche individuali, facendo decadere le rigidità degli stereotipi (culturali, religiosi, di genere…), che essi mutuano quasi sempre da un mondo adulto. Tutta le attività delle insegnanti di questa classe, che hanno portato nell’arco del triennio ad un rendimento medio più che soddisfacente, hanno coinvolto lo stesso modo di essere dei bambini ed i loro atteggiamenti nei confronti degli altri, sviluppando un processo di integrazione delle differenze, che è un risultato auspicabile all’interno della società e di quella sua parte che è la scuola.. Breve bibliografia Benvicinni A., Don Milani, esperienza educativa, lingua, cultura e politica, Armando, Roma, 2004 Borghi L., L’educazione e i suoi problemi, La Nuova Italia, Firenze,1975 Bottero E., Il metodo di insegnamento, F. Angeli, Milano, 2007 Costantino D. (a c. di), Contaminazioni, F. Angeli , Milano, 2007 De Bartolomeis F., Il sistema dei laboratori, Feltrinelli, Milano 1982 Dewey J. Il mio credo pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1999 Favaro G. e Fumagalli M., Capirsi diversi, Carocci, Roma, 2004 Hertz-Lazarowitz R., Cooperative Learning in the Classroom, Ach Publishers, Haifa,1988 Lodi M., Il paese sbagliato, Einaudi, Torino, 2007 Pinter A. e Gramigna A., Itinerari formativi nell’integrazione, Anicia, Roma, 2007 Pinter A., Immigrati, comunicazione ed educazione, ETS, Pisa , 2003 Rosenthal R. e Jacobson L., Pigmalione in classe, F. Angeli, Milano, 1992 Topping K., L’insegnamento reciproco tra compagni, Erikson, Trento, 1997
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