acquario   L'acquario in classe
     un' esperienza di integrazione
 
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Annalisa Pinter

Una breve riflessione

L’attività descritta in seguito da un gruppo di docenti, nella sua apparente semplicità, smuove una serie di questioni di grandissima rilevanza sul piano pedagogico, con conseguenze interessanti sul piano didattico.

Le prime due questioni pedagogiche che appaiono con grande chiarezza riguardano questioni qualificanti del lavoro docente. La prima è l’attività di integrazione di un allievo con disabilità insieme ai suoi compagni di classe. Già questo di per sé rappresenta un intervento educativo di rilievo, che coinvolge sia aspetti teorici attenti prevalentemente ai modelli relazionali, sia scelte didattiche ben calibrate, in modo che possano soddisfare diverse esigenze all’interno di un gruppo classe composito. La seconda questione importante riguarda l’interdisciplinarietà con cui viene affrontato il progetto. Il lavoro interdisciplinare non appare ancora oggi nelle scuole italiane per nulla scontato, ma è frutto esclusivamente dell’intelligenza e della volontà di insegnanti che vogliono far raggiungere obiettivi ambiziosi ai propri allievi, dedicando tante energie e tanto tempo al coordinamento del lavoro. Il risultato più pregnante che raggiungono, a mio avviso, è quello di dare agli studenti la percezione dell’unicità del sapere, delle interconnessioni tra le conoscenze, della non delimitazione nei percorsi di studio. La scuola italiana è invece ancora organizzata in modo da far credere ai giovani che le “discipline” siano delle realtà a sé stanti, che esse siano separate tra di loro, che ciascuna rappresenti un’alterità. Invece le idee sul mondo, che nell’essere umano passano attraverso la ricerca e l’interpretazione, hanno un loro senso solo nella globalità e nell’inscindibilità dei saperi, quindi delle discipline.

Il lavoro con l’acquario fatto nella classe di Bondeno, rappresenta un esempio di scuola attiva, la quale ancora fatica ad imporsi in un processo di insegnamento tuttora prevalentemente astratto. Certamente apprendere memorizzando e riflettendo è una fase rilevante dell’apprendimento, ma rischia di essere limitante rispetto alle possibilità complessive dell’apprendimento medesimo, che ha molte strade. L’insegnamento di Dewey, tradotto in Italia dal grande Lamberto Borghi nel secondo dopoguerra, ed applicato con straordinaria passione da De Bartolomeis negli anni ’60, quando sosteneva che si dovessero inserire i laboratori all’interno delle scuole, ancora ha trovato solo parziale accoglimento. Invece in questo caso si attua il processo dell’apprendere facendo, che rappresenta un’opportunità per gli studenti, come lo è sempre per i bambini in quella divertente attività intellettuale e psichica che è il gioco. I percorsi logici sono attivati non solo dalla riflessione astratta, ma anche dalla messa in pratica di una sequenzialità di azioni, poste in una concatenazione logica. Un esempio può essere quello della pulizia dell’acquario, che deve avere uno svolgimento determinato, e che è chiaramente collegato con il benessere dei pesci.

La razionalità del pensare e del fare è posta in relazione con il mondo delle emozioni, quale perno dell’apprendimento. Lo stupore per le abitudini diverse degli animali e le emozioni sempre rinnovate pungolano la curiosità per la scoperta di un mondo altro, ma affascinante, così come si valuta la differenza, ma anche la scoperta di alcune regolarità nel comportamento dei pesci, ed al contempo la imprevedibilità di alcune loro azioni, innescando la possibilità di comprensione dei fenomeni. Al contempo si possono attivare procedimenti logici, che restano come patterns, come modelli per la decodifica di altri momenti della vita e dello studio.

Le nuove emozioni si legano a quanto potrebbe sembrare il loro opposto, ovvero alla controllabilità della situazione da parte dei bambini. L’impressione del dominio della situazione dà una sensazione di potenza, che è rara per un bambino che abbia un handicap. E’ in questo caso una sensazione positiva che può innescare una modificazione della “immagine di sé” (Chombart de Lauwe) del soggetto, in un senso arricchente. Arrivare a ciò da un punto di vista educativo è importantissimo, perché una buona immagine di sé innesta il coraggio di tentare nuove esperienze, con la speranza di essere in grado di affrontarle con successo. L’attività didattica in un simile caso, ha ricadute educative forti, perché influenzano processi psicologici profondi, atti ad impostare aspetti della personalità individuale. La messa in atto di un modello educativo ed il fare scuola volto al benessere individuale ed al rafforzamento di aspetti di base dell’autorappresentazione dei soggetti, agisce da rinforzo sul piano psicologico, con conseguenze di costanza del comportamento anche sulla lunga distanza. Si instaura un circolo virtuoso, la cui conseguenza positiva può essere la messa in funzione di un modello sistemico di relazione e comprensione del mondo più ricco.

Siamo di fronte ad un esempio di insegnamento, a confronto del quale l’apprendimento assume aspetti dinamici, intervenendo nello sviluppo dei modelli logici dell’individuo, evitando quindi l’abitudine alla passività cui vengono solitamente condotti i nostri allievi.

Apprendere manipolando, agendo ed interagendo, osservando e riflettendo, progettando e preparando, provando e sperimentando –usando quindi la loro mente ed il loro corpo- gli studenti hanno acquisizioni più sfaccettate, perché la sensorialità aggiunge una messe di informazioni; e le modificazioni dell’oggetto di studio indotte da loro stessi aiutano a concentrarsi sui processi ed a dare peso ai dettagli. Apprendere attivamente dà una sensazione  di padronanza rispetto all’oggetto di studio, e comunica una sensazione di potenza, che è assai rara per un giovane con un handicap, tanto più se abituato ad avere difficoltà di apprendimento.

E’ in questo caso una sensazione buona, che può innescare una modificazione dell’immagine di sé del soggetto in una direzione quanto mai opportuna. Ciò è importante, perché una buona immagine di sé aumenta il coraggio di tentare nuove esperienze, con la speranza di essere in grado di affrontarle positivamente. Si tratta di un processo essenziale per ogni bambino ed adolescente, che comunque nella maggioranza dei casi trova il proprio punto di forza e di sviluppo nella constatazione di una serie di risultati positivi nella propria vita quotidiana. Per un bambino senza problemi particolari, anche stimoli semplici, di tipo educativo guidato, o anche spontanei ambientali, sollecitano lo sviluppo delle sue potenzialità intellettive.

Per alcuni bambini con difficoltà, gli stimoli devono essere maggiormente studiati e calibrati rispetto alle sue esigenze specifiche. Le sue potenzialità possono svilupparsi in modo più ampio se le sollecitazioni che riceve, come è avvenuto nel bel lavoro fatto a Bondeno, sono al punto giusto rispetto alle sue attuali capacità di comprensione e di apprendimento; altrimenti lo stimolo scivola via non lasciando alcuna traccia. In un simile caso il lavoro dell’insegnante è sprecato, e l’alunno, se si rende conto di non aver trovato la chiave di comprensione, si avvilisce e rischia di rinchiudersi in se stesso, tralasciando l’opportunità di prossime esperienze. Se invece il processo si avvia, vuol dire che l’insegnante presumibilmente è riuscito a porre in atto quel ruolo di mediatore che sarebbe auspicabile (R. Feuerstein).

Lo studio è per chiunque una grande fatica; se non si coglie l’elemento di piacere che vi è in esso, per l’aver conquistato un gradino in più, ed anche maggiormente quando si diventa consapevoli dei collegamenti nuovi che si riescono a fare tra i “pezzi” di sapere che già si possedevano (J. Piaget). Il piacere dello studio può essere così grande da arrivare addirittura alla sublimazione di pulsioni di altro genere (S. Freud).

Certamente una scuola attiva, che voglia mettere in relazione l’apprendimento con il piacere, lo sperimentare, il modificare, il creare, potendo poi constatare la realizzazione di modificazioni, la novità di dinamiche negli animali che si accudiscono, con la gratificazione fornita dal proprio lavoro di cura, i prodotti del proprio operare (un dipinto, un plastico, una nuova piantina, la vita sempre rinnovata dei pesciolini…) è quella che oltre a produrre continuo benessere nei bambini e nei ragazzi, agisce da stimolo straordinario. La curiosità e la voglia di fare si accrescono, così come si consolida allo stesso tempo, la sicurezza degli allievi, dando loro tanta serenità e voglia di lavorare. Le scuole attive, così come sono attuate in molti paesi, specialmente anglosassoni, agiscono sicuramente in questa direzione. Ma ancor di più, nel grande movimento delle scuole democratiche –il cui più noto esponente è A.S. Neill, ma di cui vale la pena di citare anche D. Gribble e R. Wild) dove l’attività pratica è considerata fondamentale, libertà di scelta degli studenti ed apprendimento sono collegati alla possibilità di diventare felici. Grande ambizione questa, per una scuola che dà molto e che si aspetta grandi risultati nella formazione, ma anche nello sviluppo umano nel suo complesso. Il progetto qui riportato si immette su quella strada.