VI. 2. Nova methodus di Leibniz

 

Nel 1676 Leibniz era giunto alla stessa conclusione che Newton aveva raggiunto parecchi anni prima: era in possesso di un metodo di grandissima importanza per la sua generalità. Sia che una funzione fosse razionale o irrazionale, algebrica o trascendente (termine questo che fu coniato da Leibniz stesso), potevano sempre essere applicate le operazioni del suo metodo per trovare somme e differenze. Spettava pertanto a lui di elaborare un linguaggio e una notazione confacenti a questa nuova branca della matematica. Leibniz aveva sempre avvertito l'importanza di una buona notazione come utile strumento per il pensiero, e la sua scelta nel caso specifico del calcolo infinitesimale fu particolarmente felice. Dopo vari tentativi fissò la sua scelta su dx e dy per indicare le minime differenze possibili (differenziali) di x e y. In un primo tempo scrisse semplicemente omn. y (cioè "tutte le y") per indicare la somma di tutte le ordinate di una curva; più tardi, però, usò il simbolo y, e ancora più tardi ydx, dove il simbolo dell'integrale è l'ingrandimento della lettera s che indica somma. Per trovare le tangenti si richiedeva l'uso del calculus differentialis, mentre per trovare le quadrature si richiedeva quello del calculus summatorius o calculus integralis. La prima esposizione del calcolo differenziale fu pubblicata da Leibniz nel 1684 con il titolo di Nova methodus [74] pro maximis et minimis, itemque tangentibus, qua nec irrationales quantitates moratur (Nuovo metodo per trovare i massimi e i minimi, e anche le tangenti, non ostacolato da quantità irrazionali). Qui Leibniz presentava le regole per il calcolo "delle differenze" (la traduzione è stata curata da Ettore Carruccio):

Sia a una quantità data costante, sarà da = 0 e dax = adx.

Se abbiamo y = v, sarà dy = dv.

Addizione e sottrazione:

se si ha z - y + w + x = v, sarà d(z - y + w + x) = dv = dz - dy + dw + dx.

Moltiplicazione:

dxv = xdv + vdx, ovvero, posto y = xv, sarà dy = xdv + vdx.

Divisione:

posto si ha .

Quanto ai segni è da notarsi ora questo: quando viene sostituito alla lettera semplicemente il suo differenziale, si devono conservare gli stessi segni, e scrivere + dz, in luogo di + z e - dz, in luogo di - z, come appare dall'addizione e dalla sottrazione esposta poco prima. ...

Potenza:

; ad esempio .

; ad esempio, se è w =, sarà dw =.

Radice:

.

Sarebbe invero bastata la regola della potenza numerica intera per determinare i differenziali tanto delle frazioni come delle radici; la potenza infatti diviene una frazione quando l'esponente è negativo, e si muta in radice quando l'esponente è frazionario: ma ho preferito dedurre io stesso queste conseguenze piuttosto che lasciarle ad altri da dedurre, dal momento che sono assai generali e s'incontrano spesso, e in un argomento per sé stesso complesso è preferibile pensare alla facilità.
(Si può visitare il sito I contributi di G. W. Leibniz [75] per ulteriori dettagli.)

Queste formule venivano ottenute trascurando gli infinitesimi di ordine superiore. Se, per esempio, le minime differenze di x e y sono dx e dy rispettivamente, allora dxy ossia la differenza minima di xy è (x + dx) (y + dy) - xy. Poiché dx e dy sono infinitamente piccoli o infinitesimi, il termine dxdy è infinitamente infinitesimo e può essere trascurato, e si ottiene così il risultato dxy = xdy + ydx.

Due anni più tardi, sugli Acta Eruditorum, Leibniz pubblicò una spiegazione del calcolo integrale, nella quale le quadrature venivano presentate come casi particolari del metodo inverso delle tangenti. Qui Leibniz poneva l'accento sulla relazione inversa esistente tra differenziazione e integrazione nel teorema fondamentale del calcolo infinitesimale; egli faceva rilevare che nell'integrazione di funzioni note "era compresa la maggior parte di tutta la geometria trascendentale". Mentre la geometria di Descartes aveva escluso tutte le curve non algebriche, il calcolo infinitesimale di Newton e di Leibniz mostrava quanto essenziale fosse il ruolo di tali curve nella loro nuova analisi.