A.G.a.Fe (Algebraic Geometry at Ferrara)


 

Il problema di inversione degli integrali abeliani:

il contributo di Riemann

 

Con il 1850 ha termine il primo periodo di sviluppo della teoria delle funzioni. Un nuovo periodo di scoperte nella teoria delle funzioni algebriche, dei loro integrali e delle funzioni inverse è dovuto a Riemann. In realtà egli elaborò una teoria molto più vasta, quella delle funzioni a più valori, che erano state fino ad allora sfiorate da Cauchy e da Puiseux, e apri in tal modo la via ad un certo munsero di progressi diversi. Riemann fu allievo di Gauss e di Weber. Arrivò a Gottingen nel 1846 per studiare teologia , ma ben presto si volse alla matematica. Quattro importanti lavori di Riemann pubblicati nel Journal fur die reine angewandte mathematik, sono dedicati principalmente agli integrali e alle funzioni abeliane. Il quarto di questi fu quello che diede maggior impulso all’argomento. Riemann infatti, mise insieme le ricerche di Abel e Jacobi, che derivavano in gran parte dalle funzioni reali e la trattazione di Weierstrass, che usava le funzioni complesse. Avendo chiarito il concetto di funzioni a più valori, Riemann era anche in grado di essere più chiaro circa gli integrali abeliani.

Infatti, il problema dell’inversione degli integrali abeliani di prima specie fu studiato dapprima da Jacobi nel caso iperellittico. Dopo il tentativo fallito di invertire un singolo integrale comprese che questa non era la via da seguire, e nel 1832 [J, II p. 516] pose il problema nella giusta prospettiva suggeritagli dal teorema di Abel. Infatti nel Remarques sur quelques propriétés générales d’une certaine sorte de fonctions trascendantes [Abel, Oeuvres complétes 2me ed. 1881, I, p. 451], posto p il massimo intero contenuto in (n1)/2 (ossia il genere della curva iperellittica C, n = deg χ(y)), Abel aveva provato che per gli integrali del tipo

 

dove q(x) è un qualsiasi polinomio di grado , l’espressione algebrico-logaritmica υ si riduceva a una costante, e Jacobi posto

,

 

enunciò il “teorema di inversione”: dati u0, ..., up1  determinare le x0, ..., xp1  in funzione di u0, ..., up1. Se p = 1 si ha l’inversione dell’integrale ellittico di prima specie, che dà luogo alle funzioni ellittiche; in generale il processo di inversione dà luogo a funzioni meromorfe di p variabili complesse aventi 2p periodi indipendenti.

Il problema di inversione fu risolto nel caso p = 2 da A. Goepel (1847) e da J.G. Rosenhain (1851) indipendentemente, e per ogni valore del genere da Weierstrass in una memoria del 1854 [Mathematische Werke, I, p. 133152], nella quale il teorema di addizione di Abel ebbe un ruolo determinante.

Il problema di inversione generale (cioè per χ(y) qualsiasi, ma irriducibile) fu risolto nel 1857 da Riemann in Theorie der Abelschen  Functionen [Oeuvres mathématiques, Gauthier-Villars 1898, p. 88144].

Qui, per trattare con le funzioni algebriche ed i loro integrali, Riemann utilizzò il concetto “superficie di Riemann” di una funzione algebrica, nel senso di una superficie a più fogli X che riveste  (concetto da lui sviluppato già nel 1851), e la definizione delle funzioni theta generali, che sono certe funzioni intere di p variabili, (già introdotte da Goepel limitatamente al caso p = 2). Nella stessa memoria Riemann dimostrò anche che il numero m r di Abel coincideva col numero p dei differenziali olomorfi linearmente indipendenti su X e col “genere topologico” di X, concetto che lui stesso aveva introdotto. Uno dei punti salienti nella trattazione di Riemann fu l’uso dell’espressione  per rappresentare i differenziali olomorfi già introdotta da Abel nella memoria parigina, dove ora però q(x, y) è un

 

“polinomio aggiunto” (soggetto a certe condizioni lineari dipendenti dalle singolarità di C) di grado n 3.

La memoria di Riemann sulle funzioni abeliane evitò il linguaggio geometrico. Soltanto a partire dal 1863 R.A. Clebsch in [Uber die Anwendungen der Abel’schen Funktionen in der Geometrie, J. Fur die reine und Ang. Math., 63 (1864)], iniziò a stabilire un legame tra i risultati di Riemann sugli integrali abeliani e la Geometria proiettiva delle curve algebriche piane, che nella prima metà dell’800 si era fortemente sviluppata ad opera di Poncelet, Chasles, Cayley, Plucker ed altri. Le applicazioni geometriche del teorema di Abel fatte dal Clebsch, anche in successivi lavori, attirarono, a partire dal 1870, una schiera di giovani matematici tra i quali: A. Brill e M. Noether in Germania, G. Halphen in Francia, L. Cremona, E. Bertini e C. Segre in Italia, che dettero vita ad un’attiva scuola di Geometria birazionale. In particolare l’idea di Abel di considerare “gruppi di punti” (divisori) variabili su C, dati dalle intersezioni di C con la famiglia razionale di curve , si trasformò nel concetto di “serie lineare”, concetto che, specialmente nell’ambito della “Scuola italiana”, avrà un ruolo importantissimo nello studio delle curve e delle superficie algebriche [Brigaglia A., Ciliberto C., Pedrini C., The Italian School of Algebraic Geometry and Abel’s legacy, in “The legacy of Niels Henrik Abel, the Bicentennial Conference”, Oslo June 3-8, 2002, eds. O.A. Laudal and R. Piene, Springer].

La risoluzione del problema di inversione e le funzioni theta permisero successivamente di associare ad ogni curva algebrica un gruppo abeliano, detto varietà Jacobiana, che risultò di fondamentale importanza per ulteriori sviluppi della teoria delle curve algebriche, e di fondare la teoria delle funzioni abeliane, ossia delle funzioni meromorfe di p variabili aventi 2p periodi indipendenti, che trovò (e trova) molte applicazioni nello studio delle varietà algebriche a più dimensioni.

“Abel” scrisse C. Hermite “lasciò abbastanza lavoro per 150 anni” [Histoire de la Science, in Enciclopédie de la Pléiade 1957, p. 630]. Ma Hermite sbagliò per difetto! Nel 1976, esattamente 150 anni dopo la presentazione della memoria parigina, il lavoro fondamentale di P. Griffiths Variation on a theorem of Abel [Inventiones 35 (1976)], ha aperto nuove vie di applicazione del teorema di addizione.

 


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