5.1 L'integrale di Riemann (a cura di Francesca Bonato, Chiara Lozzi) |
Riemann introduce una definizione di integrale
definito per funzioni limitate e definite in un intervallo anche aventi
un numero infinito di punti di discontinuità e stabilisce quando una
funzione siffatta risulta integrabile; nel caso la funzione sia
integrabile ne definisce l'integrale.
Vediamo la traduzione italiana della definizione di integrale definito
secondo Riemann contenuta nell'opera Über die Darstellbarkeit
einer Funktion durch eine trigonometrische Reihe :
La vaghezza, che esiste ancora in alcuni punti fondamentali dell'insegnamento degli integrali definiti, richiede di avanzare alcune cose sul concetto di un certo integrale e sulla portata della sua validità . Dunque, innanzitutto: che cosa si deve intendere per Per affermarlo, prendiamo a e b, una serie di valori x1 , x2 , ..., xn-1 che si susseguono l’un l’altro secondo grandezza e denotiamo per brevità x1 - a con δ1 , x2 - x1 con δ2 , fino a b - xn-1 con δn e con εi dei numeri positivi minori di 1. Il valore della somma S = δ1 f (a + ε1 δ1) + δ2 f (x1 + ε2 δ2) + ... + δn f (xn-1 + εn δn) dipenderà allora dalla scelta degli intervalli δ e delle grandezze ε. Se
esso ha la proprietà, comunque siano scelti i δ e gli ε, di avvicinarsi
infinitamente a un limite fissato A , quando i δ tendono tutti a 0,
allora tale limite si dice il valore dell’integrale definito Prendiamo le parole di Riemann: "In secondo luogo, esaminiamo ora l'ambito di validità di questa definizione o la domanda: in quali casi una funzione consente l'integrazione e in quali no?". Dati [a, b] ⊆ R un intervallo non degenere e σ una decomposizione dell’intervallo, ossia un qualsiasi insieme ordinato di n + 1 punti a = x0 < x1 < ... < xn = b identifichiamo il primo punto della decomposizione con a e l’ultimo con b. Consideriamo una funzione limitata f : [a, b] → R, denotando con Mi il sup e con mi l'inf della funzione f (x) nell'intervallo [xi-1 , xi] , Riemann osserva che la somma S è compresa tra i valori S1 = δ1 M1 + δ2 M2 + ... +δn Mn , detta somma superiore di Riemann, e S2 = δ1 m1 + δ2 m2 + ... +δn mn , detta somma inferiore di Riemann. La differenza fra S1 e S2 è S1 - S2 = δ1 ω1 + δ2 ω2+ ... + δn ωn , dove ωi è l'oscillazione della funzione f (x) nell'intervallo [xi-1 , xi] . Allora Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione limitata f (x) sia integrabile è che per ogni σ > 0 e per ogni δ > 0 esiste una partizione dell’intervallo di definizione in un numero finito di intervalli tali che la somma delle lunghezze di quelli nei quali l’oscillazione ω della funzione supera σ risulti minore di δ. Quindi Riemann richiede che la funzione sia limitata, altrimenti le somme superiore e inferiore potrebbero essere infinite, e che l'ampiezza totale dell'intervallo in cui le oscillazioni della funzione sono maggiori di σ, comunque preso σ, possa essere resa arbitrariamente piccola. |
5.2 La misura di Peano-Jordan (a cura di Ilaria Cavazzini) |
Giuseppe Peano fu il primo matematico a dare una
moderna formulazione della misura di un insieme. Nella sua opera Applicazioni
geometriche del calcolo infinitesimale del 1887 si trova
infatti, strettamente legata all'esigenza di fornire un'interpretazione
geometrica dell'integrale definito
I due matematici considerano innanzitutto un intervallo I superiormente semiaperto dell'insieme Rn: Consideriamo ora X, un sottoinsieme limitato di Rn. La misura interna mi (X) e la misura esterna me (X) di X secondo Peano-Jordan sono definite come: me (X) = inf {m (P): P ∈ P, X ⊆ P } Dunque un insieme X, sottoinsieme limitato di Rn , sarà misurabile secondo Peano-Jordan quando risulta mi (X) = me (X). |
5.3 La misura di Borel (a cura di Ilaria Cavazzini) |
Emile Borel, nella sua opera Leçons sur la théorie des fonctions
(1898), diede un contributo alla risoluzione dei problemi connessi alla
misura degli insiemi.
La sua innovativa idea è la nozione di additività numerabile: una
funzione, definita su una famiglia di insiemi, è numerabilmente additiva
se il valore che essa assegna all’unione di un’infinità numerabile di
insiemi misurabili e disgiunti è uguale alla somma dei valori che
assegna a ciascuno degli insiemi. Partendo dalla famiglia degli intervalli e dalla funzione che assegna a ogni intervallo la sua lunghezza, Borel si occupò di ampliare il dominio di definizione della funzione aggiungendo a ogni stadio insiemi i cui complementari erano già compresi nel dominio o che erano l’unione di una successione disgiunta di insiemi già compresi. In questo modo si ottiene una famiglia chiusa rispetto alle operazioni di complementazione e di unione numerabile e la funzione “misura” risultante è numerabilmente additiva. Più in generale, partendo dalla definizione di σ-algebra su un insieme X, definita come una famiglia A di sottoinsiemi di un insieme X avente le seguenti proprietà: a) ∅ ∈ A b) A ∈ A → Ac ∈ A (Ac = X \ A) c) Ak ∈ A (k ∈ N) → ∪kAk ∈ A egli considerò la più piccola σ-algebra sull’insieme X contenente tutti gli aperti di X (supposto che X sia dotato di struttura topologica) ovvero l’intersezione di tutte le σ-algebre contenenti tutti gli aperti di X. Tale σ-algebra è chiamata σ-algebra di Borel e gli elementi della σ-algebra di Borel vengono chiamati insiemi boreliani. Una misura definita su una σ-algebra di Borel è detta misura di Borel. Borel riporta poi le proprietà fondamentali della sua misura: • la misura di un intervallo (aperto o chiuso) è data dalla differenza degli estremi; • la misura della differenza di due insieme misurabili A e B con B ⊂ A è la differenza delle misure; • la misura dell’unione di un’infinità numerabile di insiemi misurabili e disgiunti è la somma delle misure. L’innovazione introdotta con la misura di Peano-Jordan e portata avanti da Borel fece sì che nei primissimi anni del XX secolo, vennero poste le fondamenta di una teoria della misura e dell’integrazione sulla retta reale, grazie al successivo lavoro di Lebesgue, che estendeva l’ambito di applicazione del calcolo integrale e differenziale in modo inimmaginabile prima di lui. Tale teoria inoltre consentiva di operare con gli integrali, le derivate e i limiti con un numero minimo di semplici restrizioni. I decenni successivi furono testimoni della crescita straordinaria di tale settore, delle applicazioni sempre più vaste di queste idee ad altri campi e della nascita, infine, di nuove importanti aree della matematica a partire dalle nozioni e dai risultati della teoria della misura. |
5.4 La misura di Lebesgue (a cura di Ilaria Cavazzini) |
Henri Léon Lebesgue ebbe il merito di aver compreso la grande importanza
del lavoro svolto da Peano, Jordan e Borel: nella sua famosa tesi di
dottorato Intégrale, longueur, aire, semplificò ed estese la
definizione di misura di Borel sviluppando una teoria dell’integrazione e
della derivazione sulla quale si basa gran parte dell’analisi
contemporanea. Egli, limitandosi inizialmente a considerare i
sottoinsiemi di un intervallo di lunghezza unitaria, dato che un insieme
aperto è l’unione di una successione disgiunta di intervalli, definì la
misura di un insieme come la somma delle lunghezze di questi
intervalli. Poiché un insieme chiuso è il complementare di un insieme
aperto, egli definì inoltre la misura di un chiuso come uno meno la
misura del suo complementare. Quindi passò a definire la misura esterna
di un qualsiasi insieme limitato come l’estremo inferiore delle misure
degli aperti che lo contengono e la misura interna come l’estremo
superiore delle misure dei chiusi contenuti nell’insieme, oppure in
termini della misura esterna del suo complementare, ovvero: Il suo contributo più importante è tuttavia l’applicazione di queste idee alla teoria dell’integrazione. Egli definì innanzi tutto l’integrale di una funzione positiva definita sui reali come la misura bidimensionale della regione sotto il suo grafico, quindi l’integrale di una qualsiasi funzione come la differenza fra gli integrali delle sue parti positiva e negativa. Lebesgue chiamò una funzione “misurabile” se l’immagine inversa di un intervallo è un insieme misurabile: l’integrale di Riemann veniva così esteso a una classe più vasta di funzioni. Con la teoria di Lebesgue, la misura non venne più usata per caratterizzare le discontinuità delle funzioni integrabili, secondo Riemann, ma per ampliare la classe delle funzioni suscettibili di integrazione. |
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